giovedì 4 novembre 2004



 


Dalle *Metamorfosi* di Ovidio la commovente storia di Ciparisso che per amore chiese agli dei di esser tramutato in cipresso!



Nelle campagne di Cartea, sacro alle ninfe di quel luogo,
viveva un cervo gigantesco, che con le sue corna
smisurate velava d'ombra profonda il suo stesso capo.
D'oro splendevano le corna, e monili di gemme,
appesi al collo tornito, gli scendevano lungo il petto.
Sulla fronte, legata a un laccetto, gli ciondolava
una borchia d'argento, e sin dalla nascita sulle tempie,
pendendo dalle orecchie, luccicavano due perle.
...
Rinunciando all'innata timidezza, senza alcun timore
entrava nelle case di chiunque, porgendo il suo collo,
per farsi accarezzare, anche alle mani degli sconosciuti.
Ma più che ad altri era caro a te, Ciparisso, a te,
il più bello della gente di Ceo. Tu lo menavi a sempre nuovi
pascoli, agli specchi d'acqua delle fonti più pure;
tu fra le corna gli intessevi ghirlande di fiori variopinti
oppure, salendogli in groppa, lo cavalcavi pieno di gioia
qua e là, frenando la sua bocca compiacente con briglie di porpora.
C'era una grand'afa sul far del mezzogiorno; alla vampa del sole
ardevano le curve chele del Cancro che ama le spiagge.
Stanco, il cervo adagiò il suo corpo sul terreno erboso,
godendosi la frescura che gli veniva dall'ombra degli alberi.
E qui, senza volere, Ciparisso lo trafisse con la punta
del giavellotto: come lo vide morente per l'aspra ferita,
decise di lasciarsi morire. Quante parole di conforto
non gli disse Febo, esortandolo a non disperarsi in questo modo
per l'accaduto! Ma lui non smette di gemere e agli dei,
come dono supremo, mendica di poter piangere in eterno.
Così, esangui ormai per quel pianto dirotto,
le sue membra cominciarono a tingersi di verde
e i capelli, che gli spiovevano sulla candida fronte,
a mutarsi in ispida chioma che, sempre più rigida,
svetta, assottigliandosi in cima, verso il cielo trapunto di stelle.
Mandò un gemito il nume e sconsolato disse: "Da me sarai pianto
e tu, accanto a chi soffre, piangerai gli altri".






 


Al di là del simbolismo funerario del cipresso quest'albero anticamente, e ancor oggi in Oriente simboleggia la fertilità probabilmente a causa del suo aspetto fallico.


I Romani, che lo mettevano a guardia dei campi , vigne e giardini, agli sposi donavano priapi intagliati nel suo legno in occasione delle nozze.


Nei racconti mediorientali simboleggiava l'amante, mentre la donna era evocata dalla rosa.


Rappresentava anche l'immortalità per via delle foglie sempreverdi e del legno considerato incorruttibile: di cipresso erano intagliati la freccia di Eros, lo scettro di Zeus e la mazza di Ercole.


Per i Persiani che sostenevano fosse il primo albero del Paradiso rappresentava il fuoco per la sua forma evocatrice della fiamma.


Frutti e foglie contengono un elevato tasso di tannino, olio essenziale da cui i Romani estraevano profumi.


Per il complesso dei suoi costituenti ha soprattutto un'azione vasocostrittrice e protettiva dei capillari.


Stimola la circolazione riducendo i danni dell'insufficienza circolatoria, riequilibra la produzione di sebo, sudore e ristagno dei liquidi. Contiene i dolori mestruali, le cistiti e gli squilibri ovarici. E' inoltre per la sua qualità astingente e antisettica sedativo della tosse, pertosse e bronchite.


La sua azione rapida e diretta al ripristino del benessere è speculare alla sua capacità di stimolare la nostra spiritualità.


Il cipresso ci indica una dimensione silenziosa, trasmettendo concentrazione.


Il suo profumo consola e rasserena l'animo turbato dai dolori e dalle forti emozioni e stimola l'intelletto rendendolo selettivo e pragmatico.


 


 


 













3 commenti:

  1. Grazie per il passaggio e il commento. C'è caldo anche qui, ma non proprio da soffocare...

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  2. Far, ma sai che non sapevo quasi nulla di quanto ho appena letto? Capperi...quanto si cela in un albero..

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  3. Far, noto che hai aggiunto un dettaglio molto intrigante.Bello...

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