lunedì 19 febbraio 2007




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Il bufalo







Oh, Sonjuščka, qui ho trovato un forte dolore. Nel cortile dove passeggio arrivano spesso dei carri dell’esercito stracarichi di sacchi o vecchie casacche e camicie militari, sepsso con macchie di sangue…., vengono scaricati qui, distribuite nelle celle, rappezzate, poi ricaricate e spedite all’esercito. Recentemetne è arrivato uno di qeusti carri, tirato da bufali invece che da cavalli. Per la prima volta ho visto questi animali da vicino. Sono di costituzione più robusta e massiccia dei nostri buoi, con teste piatte e corna ricurve basse, il cranio quindi è simile a quello delle nostre pecore, sono completamente neri, con grandi, docli occhi neri. Provengono dalla Romania, sono trofei di guerra… I soldati che guidavano il carro raccontarono che fu molto faticoso catturare questi animali selvaggi e ancor più difficile –essendo abituati alla libertà – usarli come animali da tiro. Furono orribilmente percossi finché non appresero che avevno perso la guerra e che per loro valeva il motto vae victis. A Breslavia vi devono essere un centinaio di questi animali; essi, che erano abituati ai rigogliosi pascoli romeni, ricevono un misero e scarso foraggio. Vengono sfruttati senza pietà per trainare tutti i carri possibili e così vanno presto in rovina. Dunque, alcuni giorni fa arrivò qui un carro carico di sacchi. Il carico era così alto che i bufali all’entrare nel portone non risucivano a superare la soglia. Il soldato accompagnatore, un tipo brutale, cominciò a picchiare così forte gli animali, con la grossa estremità del manico della frusta, che la sorvegliante, indignata, lo riprese chiedendogli se non aveva proprio alcuna compassione per gli animali. ‘Neanche di noi uomini ha nessuno compassione’ rispose egli sogghignando, e picchiò ancor più sodo…Alla fine gli animali tirarono e scamparono il peggio, ma uno di essi sanguinava… Sonjuščka, la pelle dei bufali è proverbiale per lo spessore e la durezza, eppure la loro era lacerata. Poi, mentre scaricava, gli animali stavano muti, sfiniti, e uno, quello che sanguinava, guardava lontano con sulla faccia nera e nei dolci occhi neri un’espressione come di un bambino rosso per il pianto. Era esattamente l’espressione di un bambino che è stato duramente punito e non sa perché, non sa come deve affrontare il supplizio e la bruta violenza…Io stavo là e l’animale mi guardò, mi scesero le lacrime – erano le sue lacrime – non si può fremere dal dolore per il fratello più caro come io fremevo nella mia impotenza per questa muta sofferenza. Come erano lontani, irragiungibili, perduti i bei pascoli liberi e rigogliosi della Romania! Come era diverso lì lo splendore del sole, il soffio del vento, come erano diverse le belle voci delgi uccelli che lì si udivano, o il melodico muggito dei buoi! E qui: questa città straniera, orribile, la stalla umida, il fieno ammuffito, nausenante, misto di paglia fradicia, gli uomini estranei, terribili e le percosse, il sangue che colava dalla ferita fresca….Oh, mio povero bufalo, mio povero, amato fratello, noi due stiamo qui impotenti e muti e siamo uniti solo nel dolore, nell’impotenza, nella nostalgia. Intanti i detenuti si muovevano affaccendati attorno al carro, scaricavano i pesanti sacchi e li trascinavano nella casa; il soldato, invece, con le due mani nelle tasche passeggiava a grandi passi per il cortile, rideva e fischiettava una canzonetta. E così mi passò dinanzi tutta la magnifica guerra.



Rosa Luxemburg, Lettere 1893-1919






















martedì 6 febbraio 2007





“Ciascun frammento di materia” è raffigurabile come un giardino ricco di piante, uno stagno pieno di pesci – “ma ciascun ramo di una pianta, ciascun membro di un animale, ogni goccia dei suoi umori è ancor esso un simile giardino, un simile stagno”. [...]. Le membra di qualsiasi vivente pullulano di altri viventi, e nulla v’è di “incolto, di sterile, di morto nell’universo”




Leibniz, Monadologia












 Brueghel, Il giardino dell'Eden