venerdì 9 maggio 2008



 


L'innesto  del Vaiuolo

al Dottore Gianmaria Bicetti de' Buttinoni





O Genovese ove ne vai? qual raggio

Brilla di speme su le audaci antenne?

Non temi oimè le penne

Non anco esperte degli ignoti venti?

Qual ti affida coraggio

All'intentato piano

De lo immenso oceano?

Senti le beffe dell'Europa, senti

Come deride i tuoi sperati eventi.



Ma tu il vulgo dispregia. Erra chi dice,

Che natura ponesse all'uom confine

Di vaste acque marine,

Se gli diè mente onde lor freno imporre:

E dall'alta pendice

Insegnolli a guidare

I gran tronchi sul mare,

E in poderoso canape raccorre

I venti, onde su l'acque ardito scorre.



Così l'eroe nocchier pensa, ed abbatte

I paventati d'Ercole pilastri;

Saluta novelli astri;

E di nuove tempeste ode il ruggito.

Veggon le stupefatte

Genti dell'orbe ascoso

Lo stranier portentoso.

Ei riede; e mostra i suoi tesori ardito

All'Europa, che il beffa ancor sul lito.



Più dell'oro, BICETTI, all'Uomo è cara

Questa del viver suo lunga speranza:

Più dell'oro possanza

Sopra gli animi umani ha la bellezza.

E pur la turba ignara

Or condanna il cimento,

Or resiste all'evento

Di chi 'l doppio tesor le reca; e sprezza

I novi mondi al prisco mondo avvezza.



Come biada orgogliosa in campo estivo,

Cresce di santi abbracciamenti il frutto.

Ringiovanisce tutto

Nell'aspetto de' figli il caro padre;

E dentro al cor giulivo

Contemplando la speme

De le sue ore estreme,

Già cultori apparecchia artieri e squadre

A la patria d'eroi famosa madre.



Crescete o pargoletti: un dì sarete

Tu forte appoggio de le patrie mura,

E tu soave cura,

E lusinghevol' esca ai casti cori.

Ma, oh dio, qual falce miete

De la ridente messe

Le sì dolci promesse?

O quai d'atroce grandine furori

Ne sfregiano il bel verde e i primi fiori?



Fra le tenere membra orribil siede

Tacito seme: e d'improvviso il desta

Una furia funesta

De la stirpe degli uomini flagello.

Urta al di dentro, e fiede

Con lièvito mortale;

E la macchina frale

O al tutto abbatte, o le rapisce il bello,

Quasi a statua d'eroe rival scarpello.



Tutti la furia indomita vorace

Tutti una volta assale ai più verd'anni:

E le strida e gli affanni

Dai tugurj conduce a' regj tetti;

E con la man rapace

Ne le tombe condensa

Prole d'uomini immensa.

Sfugge taluno è vero ai guardi infetti;

Ma palpitando peggior fato aspetti.



Oh miseri! che val di medic' arte

Nè studj oprar nè farmachi nè mani?

Tutti i sudor son vani

Quando il morbo nemico è su la porta;

E vigor gli comparte

De la sorpresa salma

La non perfetta calma.

Oh debil' arte, oh mal secura scorta,

Che il male attendi, e no 'l previeni accorta!



Già non l'attende in orïente il folto

Popol che noi chiamiam barbaro e rude;

Ma sagace delude

Il fiero inevitabile demòne.

Poichè il buon punto ha colto

Onde il mostro conquida,

Coraggioso lo sfida;

E lo astrigne ad usar ne la tenzone

L'armi, che ottuse tra le man gli pone.



Del regnante velen spontaneo elegge

Quel ch'è men tristo; e macolar ne suole

La ben amata prole,

Che non più recidiva in salvo torna.

Però d'umano gregge

Va Pechino coperto;

E di femmineo merto

Tesoreggia il Circasso, e i chiostri adorna

Ove la Dea di Cipri orba soggiorna.



O Montegù, qual peregrina nave,

Barbare terre misurando e mari,

E di popoli varj

Diseppellendo antiqui regni e vasti,

E a noi tornando grave

Di strana gemma e d'auro,

Portò sì gran tesauro,

Che a pareggiare non che a vincer basti

Quel, che tu dall'Eussino a noi recasti?



Rise l'Anglia la Francia Italia rise

Al rammentar del favoloso Innesto:

E il giudizio molesto

De la falsa ragione incontro alzosse.

In van l'effetto arrise

A le imprese tentate;

Chè la falsa pietate

Contro al suo bene e contro al ver si mosse,

E di lamento femminile armosse.



Ben fur preste a raccor gl'infausti doni

Che, attraversando l'oceàno aprico,

Lor condusse Americo;

E ad ambe man li trangugiaron pronte.

De' lacerati troni

Gli avanzi sanguinosi,

E i frutti velenosi

Strinser gioiendo; e da lo stesso fonte

De la vita succhiar spasimi ed onte.



Tal del folle mortal tale è la sorte:

Contra ragione or di natura abusa;

Or di ragion mal usa

Contra natura che i suoi don gli porge.

Questa a schifar la morte

Insegnò madre amante

A un popolo ignorante;

E il popol colto, che tropp'alto scorge,

Contro ai consigli di tal madre insorge.



Sempre il novo, ch'è grande, appar menzogna,

Mio BICETTI, al volgar debile ingegno:

Ma imperturbato il regno

De' saggi dietro all'utile s'ostina.

Minaccia nè vergogna

No 'l frena, no 'l rimove;

Prove accumula a prove;

Del popolare error l'idol rovina,

E la salute ai posteri destina.



Così l'Anglia la Francia Italia vide

Drappel di saggi contro al vulgo armarse.

Lor zelo indomit' arse,

E di popolo in popolo s'accese.

Contro all'armi omicide

Non più debole e nudo;

Ma sotto a certo scudo

Il tenero garzon cauto discese,

E il fato inesorabile sorprese.



Tu sull'orme di quelli ardito corri

Tu pur, BICETTI; e di combatter tenta

La pietà violenta

Che a le Insubriche madri il core implica.

L'umanità soccorri;

Spregia l'ingiusto soglio

Ove s'arman d'orgoglio

La superstizïon del ver nemica,

E l'ostinata folle scola antica.



Quanta parte maggior d'almi nipoti

Coltiverà nostri felici campi!

E quanta fia che avvampi

D'industria in pace o di coraggio in guerra!

Quanta i soavi moti

Propagherà d'amore,

E desterà il languore

Del pigro Imene, che infecondo or erra

Contro all'util comun di terra in terra!



Le giovinette con le man di rosa

Idalio mirto coglieranno un giorno:

All'alta quercia intorno

I giovinetti fronde coglieranno;

E a la tua chioma annosa,

Cui per doppio decoro

Già circonda l'alloro,

Intrecceran ghirlande, e canteranno:

Questi a morte ne tolse o a lungo danno.



Tale il nobile plettro infra le dita

Mi profeteggia armonïoso e dolce,

Nobil plettro che molce

Il duro sasso dell'umana mente;

E da lunge lo invita

Con lusinghevol suono

Verso il ver, verso il buono;

Nè mai con laude bestemmiò nocente

O il falso in trono o la viltà potente.





Giuseppe Parini













Capolavoro di poesia illuministica è l'Innesto del Vaiuolo di Parini, dedicato al dottor Gianmaria Bicetti. C'è un alito messianico: un mondo senza vaiolo poteva essere un meraviglioso sogno. A poco a poco, le malattie vinte ci hanno vaccinati contro il sogno di essere vincitori.



G. Ceronetti  da *Il silenzio del  corpo* materiali per studio di medicina










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