venerdì 25 maggio 2007




 








 




Terra,



tu che mi ospiti ma con cui condivido,


tu che sei feconda di tanti e tanti figli, che non si assomigliano,


tu che cresci senza tregua, sia in segreto che alla luce,


tu che porti il seme, il fiore e il frutto,


tu che mai ti fermi nel riparare la vita,


tu che a ogni epoca dell’anno lavori al divenire del vivente,


lasciando salire o scendere di nuovo la linfa, trattenendola


dallo spandersi fuori di te, salvo che per il frutto maturo,


Terra,


tu che sei ancora prodiga di sole quando viene il gelo,


Terra,


salvaguardami, fedele.


 


E quando torna la primavera, tu ridi.


Tu frusci attraverso le foglie e i fiori.


Tu fremi attraverso gli uccelli.


Non c’è la veloce crescita della prima estate, ma la gioia.


Non scoppia ancora lo splendore della metà dell’anno, siamo all’apertura.


È il tempo dell’incompiuto, della meraviglia.


La vita cammina in punta di piedi.


Il silenzio persiste nonostante i canti degli uccelli.


Ciò che cresce non tutela forse così il suo futuro ?


Esistono nella primavera distanze invalicabili.


Nessuno spazio è già pienamente occupato, ma gli spazi


non sono vuoti: sono abitati da una crescita invisibile.


Laddove sembra che nulla esista, resta una presenza, o mille.


L’uno è, e il molteplice; l’uno è il molteplice.


Ma la separazione non è ancora accaduta.


Le radici terrestri e le radici celesti si uniscono senza usurpare gli altrui limiti.


Ciascuno, ciascuna rimane nel luogo della sua nascita, ma il tutto si apre.


 




Luce Irigaray  * Appena rinata da lei* da -Essere due-